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Sole E Acciaio - Yukio Mishima
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Autore: Yukio Mishima
Titolo: Sole e Acciaio
Anno: 1970
Lingua originale: giapponese
Genere: romanzo
Pagine: 40
Formato: PDF
Dimensioni: 313 Kb
.: Trama :.
“In quest’ultimo periodo ho cominciato a percepire in me un accumularsi multiforme assolutamente inesprimibile attraverso un genere artistico oggettivo qual è il romanzo, ma ormai non potrei più divenire un ventenne poeta lirico; e in ogni caso non lo sono mai stato”.
Mishima contamina così il bianco della prima pagina dando inizio, due anni prima del discusso suicidio attuato tramite il rito del seppuku, ad un libro per il quale egli stesso afferma di aver inventato una forma intermedia tra la confessione e la critica; un dominio sottilmente ambiguo definibile come “critica occulta”. Il dominio del crepuscolo, ai confini tra la notte della confessione ed il giorno della critica.
E il suo scrivere coincide con l’affannosa ricerca di un linguaggio del corpo capace di esprimere la scoperta della propria identità fisica ed il nascente interesse per la pratica delle arti marziali rispondendo, da un lato all’esigenza di favorire fedelmente l’azione corrosiva delle parole e dall’altro alla risoluzione di entrare in rapporto con la realtà in uno spazio assolutamente non toccato dal linguaggio. Sole e Acciaio si pone, quindi, come la testimonianza più netta dell’ossessione spirituale e carnale di Mishima nei confronti della vita e della morte, nell’ottica di quella che, a posteriori, è stata riconosciuta come estetica e logica del corpo, secondo cui la rappresentazione della carne assume valore di verifica intesa come la necessità di trovare e identificare se stessi nella concretezza della carne. Nella possibilità di squarciarla per costatarne l’occulta interiorità.
L’autore dunque, fedele al principio secondo il quale il suo corpo, pur essendo il prodotto di un’idea, costituisca anche il manto più adatto per nasconderla, abbandona la predilezione per le notti in stile Novalis e smette di considerare il sole come un nemico, per giungere alla contestazione nei confronti dei suoi tempi, approdando infine alla scoperta di una specie di abisso nella superficie in grado di garantire la consistenza e la forma del corpo, importante frontiera che divide il mondo interno da quello esterno.
Stimolato dal sole a trascinare il pensiero fuori dalla notte delle sensazioni viscerali, fino al rigonfiamento dei muscoli fasciati da una pelle luminosa in grado di costituire nuova dimora in cui i pensieri possano abitare, Mishima si converte all’acciaio riconoscendone l’importanza allo scopo di ribaltare il silenzio della morte nell’eloquenza della vita.
L’acciaio e la conseguente sensazione di forza da esso scaturita si pongono, quindi, come ponte tra l’io ed il mondo, con il corpo che si nutre dell’impulso romantico verso la morte e che, secondo l’ideale classico, tende alla perfezione per poterne diventare sacerdote ed altare.
“L’allenamento del sole e dell’acciaio, a cui mi ero dedicato per così lungo tempo, era dunque un’attività in grado di produrre quel genere di scultura fluida, e poiché il corpo così plasmato apparteneva strettamente alla vita, tutto il suo valore doveva essere riposto in ogni attimo di quello splendore. Perciò la scultura che rappresenta il corpo umano celebra con marmo imperituro l’essenza effimera della carne. Ne consegue che appena oltre, un attimo dopo, preme già la morte. La funzione del coraggio fisico consisterà sempre nell’accettare la sofferenza; in altre parole, il coraggio fisico è la fonte del gusto di capire e di assaporare la morte ed è anche la prima condizione della facoltà di comprenderla”.
In tale prospettiva, pertanto, si guarda al corpo come ad un’opera d’arte che attraverso il dolore e il suo successivo superamento, realizza una sublimazione della morte secondo una specie di rituale iniziatico consumato nella carne e per tramite della carne.
All’interno di questo denso monologo-confessione, la fascinazione della morte, infatti, risulta ancora più evidente che nelle altre opere del giapponese e finisce col giocare più ruoli: innanzitutto, afferma Ciccarella, si pone come ideale estetico perfettamente in sincrono con un nichilismo attivo di tipo nietzschiano in base al quale la morte deve essere prematura ed eroica.
Ma diventa anche cristallizzazione della bellezza contro la tirannia del tempo che nella sua trasfigurazione martirizzante raggiunge l'apice dell'erotismo.
In definitiva poco più di novanta pagine bastano a testimoniare il viaggio di Mishima all’interno della propria identità di uomo, un viaggio permeato da una poetica della contraddizione e della negazione che oltrepassa ogni convenzione per raggiungere le più intime considerazioni di quello che si conferma un autore di grande complessità la cui intera produzione letteraria, agli occhi di Marguerite Yourcenar, sembra tutta votata alla morte, nello stesso modo in cui quella morte volontariamente scelta e drammaticamente celebrata appare l’ultima delle sue opere: l’atto che soddisfa la sua ansia crudele di assomigliare ad esse annullandovisi, l’estremo e paradossale tentativo di unire arte e vita.
.: Autore :.
« La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre »
(Yukio Mishima, biglietto d'addio lasciato prima del suicidio rituale, il 25 novembre 1970)
Yukio Mishima (三島由紀夫), pseudonimo di Hiraoka Kimitake (平岡公威) (Tokyo, 14 gennaio 1925 – Tokyo, 25 novembre 1970) è stato uno scrittore e drammaturgo giapponese.
Mishima è uno dei pochi autori giapponesi che hanno riscosso immediato successo all'estero (più che in Giappone stesso, dove la critica lo ha più volte stroncato). Le sue numerosissime opere spaziano dal romanzo alle forme rimodernizzate e riadattate di teatro tradizionale giapponese Kabuki e Nō, quest'ultimo rivisitato in chiave moderna. Personaggio difficile e complesso, era in realtà un nazionalista nostalgico, un conservatore decadente come lo definì Alberto Moravia che lo aveva incontrato nella sua casa in stile occidentale in un sobborgo di Tokyo. Tuttavia Mishima stesso si identificò sempre come apolitico, soprattutto visto il suo astio nei confronti dei politici a lui contemporanei. Sicuramente uno dei suoi ideali più forti è il patriottismo, che ha ispirato anche numerosi personaggi delle sue opere, oltre al culto per l'Imperatore, non come personaggio storico o figura autoritaria ma come ideale astratto dell'essenza del Giappone tradizionale.
Con la sua tragica morte avvenuta in diretta televisiva nel 1970 all'età di quarantacinque anni (data studiata e ponderata accuratamente), con il suicidio rituale (seppuku), durante l'occupazione simbolica del ministero della difesa, suggellò la conclusione insieme della sua vita e della sua vicenda letteraria. Infatti poco prima del suo suicidio aveva consegnato all'editore l'ultima parte della tetralogia Il mare della fertilità (completata comunque tre mesi prima della consegna, ma sulla quale appare, nell'ultima pagina, la data simbolica "25/11/1970", quasi come a volere lasciare il suo ultimo testamento).
La sua uscita di scena era stata organizzata con lucidità e freddezza. Uscendo dal suo studio per andare incontro all'epilogo della sua vita lascia un biglietto in cui era scritto «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre». Tuttavia è necessario ed indispensabile ricordare che la morte ha sempre ossessionato Mishima durante tutta la sua vita, un'ossessione che si riflette chiaramente nelle sue opere.
Mishima fu anche fondatore di una organizzazione paramilitare, di cui lui era capo e finanziatore, chiamata Tate no kai (Associazione degli scudi) che rifiutava in maniera netta ciò che lui definiva una sottomissione del Giappone, ossia il Trattato di San Francisco del 1951 col quale il suo paese aveva rinunciato per sempre a possedere un esercito affidando la propria difesa agli Stati Uniti. Mishima insistette spesso sulla funzione non reale ma simbolica del suo esercito, composto solo da 100 giovani selezionati dallo scrittore stesso, inteso come esercito di salvaguardia dello spirito tradizionale giapponese e difensore dell'Imperatore.
Un antico verso ancora oggi ricordato è "hana wa sakuragi, hito wa bushi" (花は桜木人は武士) che tradotto significa "tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero"